L'abbazia del delitto

Il mondo narrativo

Il primo passo per scrivere un romanzo consiste per me nel costruire un mondo.

I disegni e gli appunti preparatori a Il nome della rosa raccontano un’operazione di world-building durata un anno intero, di mole ben superiore rispetto agli standard del romanzo storico: la vicenda raccontata nel libro è infatti solo una parte dell’architettura minuziosa e complessa progettata dall’autore.

Questa lunga fase preparatoria risponde all’esigenza di raccontare i fatti de Il nome della rosa con la perizia di un cronista medievale, ma anche alla necessità, per l’autore, di calare i propri personaggi in un ambiente chiuso come quello dell’abbazia. Come spiega nelle Postille, Eco considera la pianta dell’abbazia alla stregua di una scacchiera all’interno della quale movimenti e conversazioni dovevano rispettare le unità aristoteliche di tempo e di spazio. 

Marco Ferreri una volta mi ha detto che i miei dialoghi sono cinematografici perché durano il tempo giusto. Per forza, quando due dei miei personaggi parlavano andando dal refettorio al chiostro, io scrivevo con la pianta sott’occhio, e quando erano arrivati smettevano di parlare.

Occorre crearsi delle costrizioni, per potere inventare liberamente.

Il Medioevo di Umberto Eco

Il nome della rosa è ambientato nel 1327, in un tardo Medioevo scosso da lotte religiose e politiche: la sede papale è stata spostata ad Avignone, Ludovico di Baviera e Federico d’Austria si contendono il trono del Sacro Romano Impero, le eresie imperversano e il nuovo pontefice avignonese Giovanni XXII si inimica sempre di più l’ordine monacale dei francescani.

Un’ulteriore contrapposizione è quella interna agli stessi ordini monacali: laddove i francescani predicavano la povertà di Cristo e della Chiesa, i benedettini, custodi del patrimonio culturale della cristianità, rivendicavano il diritto di possedere ingenti beni materiali. Il Medioevo che descrive Umberto Eco è al contempo lontano e vicino all’attualità della stesura del romanzo. Sebbene mai esplicitamente richiamato, l’impatto degli anni di piombo e della crisi delle autorità culturali appare costantemente tra le righe.

Cultura materiale

Per garantire una ricostruzione storica pertinente, Eco prende appunti su nozioni solo apparentemente marginali, come le abitudini alimentari e l’agricoltura del tempo. Anche il lasso temporale in cui si svolge la vicenda, ossia la fine di novembre, è scelto per rispettare strettamente un criterio di credibilità: in continuità con la catena di omicidi ispirati all’Apocalisse, c’era bisogno che una delle vittime venisse ritrovata in un otre pieno di sangue di maiale. Per questo motivo Eco ha ambientato la vicenda all’inizio della stagione fredda, quando si macellano i suini.

Anche per gli adattamenti del romanzo si è provveduto a ricostruire, attraverso gli oggetti di scena, la cultura del tempo. Nel caso del film, per esempio, è stata dedicata una particolare attenzione al laboratorio dell’erborista Severino e ai manoscritti della biblioteca, alcuni dei quali sono stati miniati da monaci che ancora oggi portano avanti la tradizione manoscritta.

La biblioteca e il labirinto

Il fulcro della vicenda del romanzo è la biblioteca dell’abbazia, concepita da Umberto Eco come un labirinto al tempo stesso architettonico e spirituale, che trova il suo centro nella sezione della conoscenza proibita, il Finis Africae

Tra le molte fonti di ispirazione si possono ravvisare le Carceri delle incisioni di Giambattista Piranesi e le illusioni ottiche delle illustrazioni di M.C. Escher. Questo effetto illusorio, quasi psichedelico, è esasperato nell’adattamento cinematografico grazie alle scenografie di Dante Ferretti, il quale colloca su più piani collegati da rampe di scale le diverse sezioni della biblioteca. Un ulteriore riferimento, reso palese dalla figura di Jorge da Burgos, è quello alla biblioteca di Babele dell’omonimo racconto di Jorge Luis Borges: un luogo in cui l’ambizione umana alla conoscenza si perde in un numero infinito di documenti e stanze.

Architettura

L’effetto psicologico che la biblioteca suscita nei personaggi, fatto di false piste, illusioni e misteri da decifrare, è merito dell’attenta pianificazione architettonica dell’autore, testimoniata ancora una volta dai disegni preparatori al romanzo. 

La nuova edizione

Il lavoro propedeutico alla stesura de Il nome della rosa è testimoniato dai disegni e dagli appunti preparatori di Umberto Eco presenti nell’ultima edizione del romanzo, edita La nave di Teseo e arricchita da da una nota critica di Mario Andreose, presidente direttore del dipartimento libri di Bompiani all’uscita del romanzo:

I disegni, o schizzi, e le annotazioni manoscritte del futuro autore del Nome della rosa testimoniano il minuzioso lavoro preparatorio prima della stesura del romanzo avviata nel 1978 e la cui pubblicazione avverrà nell’ottobre del 1980. A conferma pure di quanto affermato da Eco nelle “Postille” (1983): “Per raccontare bisogna anzitutto costruirsi un mondo, il più possibile ammobiliato sino agli ultimi particolari”; una volta costruito il mondo, “le parole verranno quasi da sole.
Rem tene, verba sequentur”.

Questi paratesti, resi pubblici solo nel 2006 grazie a uno speciale de La Repubblica e ora a disposizione di tutti i lettori, includono ricerche storiografiche e architettoniche sul mondo narrativo de Il nome della rosa. A ciò si aggiungono i disegni caricaturali dei personaggi del romanzo realizzati dallo stesso Eco con l’intento di “sapere quali parole mettere loro in bocca”.