Nel 2019 Il nome della rosa riceve il secondo adattamento: una miniserie pensata per il piccolo schermo. Anche in questo caso si tratta di una coproduzione tra l’italiana Rai Fiction e la tedesca Tele Munchen. Il cast internazionale include John Turturro nel ruolo di Guglielmo da Baskerville, il giovane attore tedesco Damian Hardung nel ruolo di Adso e Rupert Everett nel ruolo di Bernardo Gui; tra gli italiani invece figurano Fabrizio Bentivoglio nel ruolo di Remigio e Stefano Fresi nel ruolo di Salvatore.
Le otto puntate della serie TV de Il nome della rosa sono state trasmesse in anteprima mondiale su Rai 1 nel corso di quattro serate a partire dal 4 marzo 2019. Con quasi otto ore complessive di screentime, Il nome della rosa intende restituire tutti i sottotesti del romanzo che erano invece stati messi in secondo piano, o addirittura tagliati, nel primo adattamento.
Il regista Giacomo Battiato ha definito la serie TV de Il nome della rosa “una traduzione in immagini” del testo originale: un’interpretazione che segue fedelmente, talvolta ampliando e arricchendo, la fonte. Prima della sua morte, nel 2016, Umberto Eco aveva supervisionato una bozza del copione ad opera dello sceneggiatore Andrea Porporati, compresa di aggiunte al testo, e l’aveva approvata in nome del suo rapporto con la Rai.
Genere
Drammatico, Storico, Thriller
Paese
Germania, Italia
Anno
2019
Regia
Giacomo Battiato
Sceneggiatura
Andrea Porporati, Giacomo Battiato, John Turturro, Nigel Williams
Produzione
Rai Fiction – Palomar – Tele München
Episodi
8 (45 minuti)
Messa in onda
4 marzo – 25 marzo 2019
Share
27.38% (4 marzo)
16,9% (25 marzo)
Budget
26 milioni di dollari
Distribuzione (Italia)
Columbia Pictures Italia
– Domovideo
Premi
Globo d’Oro:
Migliore serie tv
Adso cade in preda a visioni nella biblioteca: come scopre Guglielmo, la colpa è da imputare alle sostanze allucinogene, oltre che a un complesso sistema di effetti sonori che tengono lontani gli ospiti indesiderati, facendo credere loro che la biblioteca sia infestata. Una volta risolto razionalmente questo primo mistero, Adso cerca di saperne di più sulla storia di Dolcino, mentre l’inquisitore Bernardo Gui inizia il suo viaggio verso l’abbazia, durante il quale riesce a sfuggire all’attacco teso da Anna.
Poco dopo, all’abbazia, si ritrova il cadavere di Berengario con le punte delle dita e la lingua ricoperte da una sostanza nera. Attraverso un flashback si conosce la storia di Salvatore: ex buffone di corte, fu liberato proprio da Remigio durante un attacco dei dolciniani. Infine, Guglielmo e Adso riescono a decifrare l’indizio di Venanzio e localizzare il Finis Africae, senza tuttavia riuscire a entrarci. Quella stessa sera Adso si incontra con la ragazza occitana nel bosco vicino l’abbazia.
La ragazza occitana trova Anna ferita nel bosco e la cura: tra le due si instaura un rapporto di mutua solidarietà. Bernardo Gui, giunto all’abbazia, interroga invano l’ex dolciniano Remigio. Ha quindi inizio la disputa tra i francescani e la congregazione papale sulla Chiesa e il possesso di beni materiali, che finisce in uno scontro. Nel frattempo il bibliotecario Malachia ruba delle lettere compromettenti di Remigio, che riguardavano il suo passato da eretico, e le consegna all’inquisitore. Quella stessa sera, Adso e la ragazza occitana si incontrano per l’ultima volta e fanno l’amore.
Quando Severino viene ritrovato morto, l’inquisitore arresta e tortura immediatamente Remigio. Guglielmo indaga sul libro a cui Severino aveva accennato poco prima di morire. La ragazza viene catturata da Salvatore; le guardie dell’Inquisizione irrompono nel mulino dove si trovano e arrestano entrambi con l’accusa di stregoneria.
Bernardo arresta e processa Remigio per eresia. Quest’ultimo, stremato, finisce per dichiarare la propria colpevolezza e viene condannato al rogo insieme alla ragazza. Malachia nel frattempo è riuscito ad appropriarsi del manoscritto — il secondo volume della Poetica di Aristotele — e riportarlo in biblioteca, ma il giorno dopo muore.
Una delegazione di francescani parte per Avignone per contrattare con il Papa, ma Guglielmo è deciso ad andare a fondo con la sua indagine. Il finale della serie coincide con quello del libro, con l’ultima incursione nel finis Africae, la confessione di Jorge e l’ecpirosi dell’abbazia.
La miniserie de Il nome della rosa rappresenta una delle scommesse più grandi operate dalla Rai negli ultimi anni, sulla scia di successi come L’amica geniale e I Medici. Per questo progetto l’emittente ha puntato su una produzione e un cast internazionale, con l’obiettivo di consolidare il ruolo della fiction italiana nel panorama audiovisivo. I diritti sono stati ceduti alle emittenti di 132 Paesi, rendendola così la seconda serie italiana più venduta al mondo dopo Gomorra. Nonostante una grande curiosità iniziale e dei primi risultati promettenti sia il pubblico che la critica hanno espresso giudizi tiepidi a riguardo, sottolineandone gli errori di sceneggiatura e l’eccesso di scene d’azione, reputate inadatte a questo genere di storia.
La trama perde l’anima originaria, felice fusione tra razionalità del giallo, irrazionalità inquisitoria antieretica, e scontro sovrastrutturale tra papato e imperatore con in mezzo i francescani tra cui Guglielmo. Nella versione tv rimane uno scheletro storico convenzionale, qualunque, indistinguibile da un qualsiasi filmetto in costume alla Luther, o da un qualunque scambio di battute esiziale tra potenti ne I Medici o dei Borgia.
Tra pregi e difetti “Il Nome della rosa”, proposto al pubblico italiano, riesce a mantenersi abbastanza interessante sia per il suo climax interiore che per la sua capacità di non cadere mai nel ridicolo e nel banale. Il prodotto finale risulta non avere né alti né bassi, venendo confezionato in un incartamento perfetto e ben curato ma che alla fin dei conti non riesce ad avvolgere il pubblico lasciandolo impassibile alla storia.
Il regista Giacomo Battiato tenta una resa il più fedele possibile del testo di Umberto Eco, compreso di tutti i auoi molteplici sottotesti. La serie TV de Il nome della rosa non solo reinterpreta il romanzo nella sua quasi totale interezza, ma ne amplia anche il contesto storico e culturale alla luce di esigenze e tendenze sceniche nuove e una sensibilità ormai mutata rispetto al periodo in cui il romanzo e l’adattamento cinematografico sono stati prodotti.
L’universo de Il nome della rosa non lascia spazio alle donne, tanto che Eco non assegna neanche un nome all’unico personaggio femminile. Con l’ingresso in scena di Margherita e Anna la serie TV risponde a una richiesta sempre maggiore di rappresentazione, deviando (su approvazione preventiva dello stesso Eco) rispetto della cornice narrativa originale. Allo stesso modo, la ragazza amata da Adso da contadina diventa una profuga occitana.
Attraverso l'inserimento, fin dall'inizio della prima puntata, di scene esterne all'abbazia, la serie TV rompe la sostanziale unità di luogo e tempo che caratterizzava Il nome della rosa. Questa rottura del canone aristotelico è giustificata dall'esigenza di trasformare i passi più descrittivi del romanzo di Eco in materiale adatto al piccolo schermo.
Le digressioni storiche su eresie, ordini monastici e lotte di potere erano uno degli elementi descrittivi più statici nel romanzo: per non lasciarle da parte ma adattarle al mezzo audiovisivo, la serie TV ricostruisce la storia di Dolcino e dei suoi seguaci per mezzo di analessi, tramite una quantità non indifferente di scene d’azione.
Il Bernardo Gui della serie TV è lontano dall’immagine da villain conferita al suo personaggio nel film del 1986: più vicino alla reale figura storica, l’inquisitore interpretato da Rupert Everett è in questo caso tratteggiato come un personaggio a tutto tondo, fermamente convinto nel suo impianto ideologico.
I personaggi de Il nome della rosa acquisiscono nella serie una connotazione tridimensionale, con accenni anche al loro passato. Emblematico è il caso di Salvatore, a cui viene assegnata un’occupazione nella cartiera dell’abbazia e un tragico passato da buffone in una corte in cui era continuamente denigrato e sottoposto a umiliazione.
Nelle parole del regista, la differenza che intercorre tra la serie e il film de Il nome della rosa è quella tra un palinsesto e una traduzione. Con molto più tempo a disposizione, il regista ha puntato a una sostanziale esaustività, sottolineando la modernità delle tematiche trattate da Umberto Eco nel romanzo. Dal punto di vista estetico, invece, la serie TV abbandona le atmosfere cupe e gotiche del film per esplorare invece un lato più colorato, più vivo del Medioevo. Allo stesso modo, i personaggi sono meno caricaturali nell’aspetto fisico e nel profilo psicologico.
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